Rogo ThyssenKrupp, le carezze e gli abbracci che mancano

Ringrazio tutti quelli che hanno voluto ricordare durante le Settimane della Sicurezza la tragedia alle Acciaierie ThyssenKrupp di Torino del 6 dicembre 2007, un anniversario sempre devastante per noi parenti delle sette vittime: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone e Roberto Scola.

Sono trascorsi 16 lunghissimi anni da quella maledetta notte. Anni che ci hanno visto invecchiare, ammalarci, morire nell’attesa che si compisse il percorso della giustizia.

Non c’è più Nino Santino, il papà di Bruno, che con la sua forza e la sua disperazione aveva trainato il corteo dopo la tragedia. Non c’è più Gianna Pisano, la zia di Roberto Scola, che è sempre stata presente a ogni evento, a ogni momento.

I nostri figli, i nostri cari sono stati trasferiti nel Cimitero. Quando erano con noi decidevamo dove trascorrere le festività, le vacanze.

Abbiamo dovuto sopportare anche il dolore di riuscire a donargli un luogo, un Memoriale, in cui riposare in pace.

Tutto questo è figlio di una grande ingiustizia. MORIRE LAVORANDO è una terribile, ENORME INGIUSTIZIA.

Un Paese civile non dimentica i suoi figli. Li accompagna, salvaguardando i vari momenti della loro vita.

Si lavora per costruirsi un futuro, per realizzare un sogno, grande o piccolo che esso sia. E quel sogno è stato negato, strappato via, rubato. Non da un destino cinico e crudele, non dal caso o dal fato, ma da precise scelte della ThyssenKrupp. Quelle scelte hanno impedito a mio figlio di tornare a casa quella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007.

Ho ancora tante carezze nelle mie mani che avrei voluto dargli. Le mie braccia sono piene degli abbracci che mi sono mancati in questi anni.

Si muore dentro. È un dolore che non ha, non può avere fine.

Questa tragedia si porta dietro nove orfani. Nove ragazzi che sono cresciuti senza i loro padri. Nove ragazzi che avevano appena conosciuto il loro papà. Alcuni di loro così piccoli che non possono avere neppure il ricordo della loro voce.

Il nostro Paese non è riuscito a far rispettare una sentenza definitiva.

L’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, condannato in primo grado a 16 anni di reclusione e in via definitiva a 9 anni e 8 mesi, ha varcato la soglia di uno pseudo carcere in Germania soltanto ad agosto di quest’anno e soltanto per andare a dormire.

Valeva così poco la vita dei nostri cari?

La nostra pena non avrà mai fine e dobbiamo fare i conti tutti i giorni con le assenze, con i vuoti lasciati dai nostri cari.

Questa non è Giustizia.

Rosina Platì
mamma di Giuseppe Demasi

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