Sono 392 i morti di mesotelioma al centro del processo “Eternit bis” in corso alla Corte d’Assise a Novara: 62 lavoratori e 330 cittadini di Casale Monferrato (Alessandria) e dintorni, vittime di esposizioni all’amianto, ambientali e familiari, causate ad esempio dalle “famose” tute blu sporche d’amianto portate a casa da lavare dopo il lavoro.
Queste sono solo una parte delle oltre 3.000 vittime dell’amianto criminale a Casale Monferrato e paesi circostanti, per asbestosi, cancro al polmone e mesotelioma maligno, a partire dagli anni ’50. Negli anni 2000, a Casale si contavano circa 50 mesotelioma all’anno e forse ora stiamo raggiungendo il “picco”, sperando così di poterli vedere finalmente scendere.
L’attuale processo, che vede numerose parti civili, tra cui Sicurezza e Lavoro, è iniziato l’anno scorso dopo anni e anni per i vari pronunciamenti sulla sua fattibilità, anche della Cassazione e addirittura della Corte Costituzionale, e vede il rinvio a giudizio per omicidio volontario con dolo eventuale, ancora una volta, di Stephan Schmidheiny. È l’ultimo proprietario della grande multinazionale svizzera dell’amianto, già imputato nel precedente processo di Torino per disastro ambientale doloso permanente con 6.300 parti civili di Casale, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli: in primo grado condannato a 16 anni di reclusione, in appello a 18 anni. La Cassazione, nel 2014, dichiarò prescritto il disastro, nonostante fosse in pieno svolgimento e non avendo ancora raggiunto il picco dei malati e delle morti.
Il 30 gennaio scorso e ancora il 10 febbraio, in Corte d’Assise a Novara, i Pubblici Ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare hanno descritto minuziosamente e in modo assolutamente documentato le condizioni di esposizioni, molto elevate e continuate, alle fibre d’amianto delle lavoratrici, dei lavoratori e della popolazione, dentro e fuori la fabbrica, in città e nel territorio. La dispersione, purtroppo massiccia, della fibra killer avveniva dai sistemi di lavorazione, dai sistemi di trasporto scoperti dell’amianto e dei manufatti, dalla frantumazione – a cielo aperto! – degli scarti di lavorazione provenienti dai vari stabilimenti per il loro riciclo, dallo smaltimento del cosiddetto “polverino” d’amianto e di altri scarti a cielo aperto, che venivano anche regalati a chiunque li volesse per coibentare sottotetti, battuti per cortili, stradine, ecc.
La multinazionale fece una “calata” in Italia con spirito coloniale, privilegiando la continuità dell’uso dell’amianto, nonostante la documentata conoscenza della sua gravissima cancerogenicità, raccomandando a tutti i suoi manager sparsi per il mondo, in un incontro a Neus in Germania nel 1976, “di non farsi prendere dal panico per i dati sulla nocività” documentati da indagini e studi internazionali e che “queste notizie non dovevano raggiungere i lavoratori”. Se non è dolo questo…
Naturalmente la difesa, attraverso autorevoli consulenti, pone decisamente su tutto ciò quanto meno il dubbio, come pone dubbi sulle centinaia di diagnosi di mesotelioma e sull’incidenza dell’amianto del “periodo svizzero”…
E a noi ovviamente viene chiesto: cosa vi aspettate da questo processo? Dopo la contraddittoria, devastante e fuori dal tempo sentenza della Cassazione sul precedente processo, ripetiamo ancora: che vinca la verità, che la giustizia possa affermarsi e cioè che sia riconosciuto finalmente il dovuto alle vittime, dopo la lunghissima lotta, di una comunità come quella casalese, per la vertenza territoriale, anche fruttuosa, per giustizia, bonifica e ricerca. Oggi però è tutto più difficile, dopo tante delusioni, le forti tendenze individualiste nella società, uno sviluppo scriteriato che sacrifica il pianeta, il distacco dalla e della politica e della partecipazione, ci vorrebbero invece un rinnovato impegno civico di tutti e tutte e, anche in questo caso, un ruolo attivo e coordinato delle Istituzioni (Comune, Regione Piemonte, Stato, Inail), anche quali parti civili nel processo. Purtroppo, a proposito di giustizia, l’attuale dibattito per la sua riforma pare concentrarsi esclusivamente su come “garantire” il diritto e le garanzie per gli imputati, che ovviamente non vanno trascurati, ma non pare ci sia lo stesso impegno per intervenire sul piano normativo e sull’organizzazione e specializzazione della magistratura, per “garantire” alla giustizia che possa e debba affermarsi, specie quando i reati causano vittime (migliaia nel caso dell’Eternit), e che il termine “diritto” possa quindi essere esteso anche alle vittime dei reati.
Bruno Pesce
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