Con le testimonianze delle vittime di amianto e dei loro familiari, prosegue il 16 marzo 2022 nell’aula magna del campus dell’Università del Piemonte Orientale in via Perrone a Novara, il processo Eternit bis, in cui è parte civile Sicurezza e Lavoro.
Imputato di fronte alla Corte di Assise di Novara, presieduta da Gianfranco Pezone, è il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, nominato ceo del Gruppo Eternit nel 1976, accusato della morte per amianto di 392 persone (62 dipendenti dell’Eternit), che hanno lavorato nello stabilimento (chiuso nel 1986) o vissuto a Casale Monferrato (Alessandria) e dintorni.
Tanti gli interventi che raccontano di una situazione drammatica, in fabbrica e in città, con manufatti e costruzioni con amianto presenti un po’ dappertutto, tonnellate di amianto abbandonate nello stabilimento dopo la chiusura e il polverino d’amianto che l’Eternit regalava sparso in tante piazze del paese e nei cortili delle scuole.
C’era amianto nei capanni degli orti, nei tetti dei garage, nei campi da bocce, ma soprattutto si diffondeva nell’aria a causa della frantumazione degli scarti di lavorazione effettuata a cielo aperto dall’azienda, che poi faceva trasportare gli scarti in giro per la città con un motocarro Aermacchi, disperdendo ulteriori fibre cancerogene.
Drammatica la testimonianza di Mauro Bettonte, il cui padre Italo, morto di sarcoma pleurico nel 1997, ha lavorato dal 1981 al 1986 all’Eternit in via Oggero. Lavorava al reparto tubi, alla Petralit, dove venivano tagliati e rifiniti i pezzi.
Tra le varie mansioni che gli erano state assegnate, Italo una volta al mese doveva scrostare a mano le vasche in cui venivano immersi i manufatti di amianto e periodicamente il sabato grattava i vetri della fabbrica, diventati opachi per la polvere di amianto, senza alcuna protezione.
C’era scarsa manutenzione e alcuni reparti dello stabilimento erano invivibili per la polvere – ha detto il figlio, ricordando gli sfoghi del papà a casa.
Eliana Puccio