Amianto, omaggio a Casale Monferrato, città resiliente

Per celebrare il 28 aprile, Giornata mondiale per la salute e sicurezza sul lavoro e delle vittime dell’amianto, Sicurezza e Lavoro vuole rendere omaggio alla comunità di Casale Monferrato (Alessandria), città simbolo a livello mondiale delle lotta all’amianto. Una realtà resiliente che ha saputo reagire a una tragedia mai vista, mettendo in campo risorse e iniziative che hanno ispirato migliaia di persone nell’agire per tutelare la salute di chi lavora o vive a contatto con l’asbesto e l’ambiente, oltre che per chiedere giustizia per le vittime, bonifiche e cure e ricerche mediche.

Per farlo, riportiamo una sintesi del webinair promosso da Legambiente dedicato proprio alla cittadina piemontese e ai suoi “eroi”, a cui abbiamo recentemente partecipato.

L’incontro è stato ideato da Vittorio Giordano, presidente Legambiente Verdeblu di Casale Monferrato e condotto da Giorgio Prino, presidente Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta.

In apertura, Giorgio Zampetti, direttore generale nazionale Legambiente, ha voluto testimoniare la sua vicinanza alla comunità casalese e ha ricordato le lotte iniziate negli anni ’80 proprio da lì, per contrastare i danni dell’amianto, che continua ancora oggi a mietere vittime, dal nord al sud Italia e in tutto il mondo.

A 28 anni dalla messa al bando dell’amianto (1992), le bonifiche dei siti minori e dei grandi impianti industriali italiani dall’amianto sono infatti insufficienti – ha spiegato – e ci sono centinaia di migliaia di edifici e strutture contenenti amianto, comprese scuole. Così come la mappatura italiana e le mappe dei rischi di esposizione sono ancora incomplete.

La gente, purtroppo, continua ad abbandonare l’amianto per strada, i costi di smaltimento sono elevati e non tutte le Regioni e le Amministrazioni locali sono sensibili al problema. Servono inoltre politiche nazionali più cogenti per chiudere definitivamente il capitolo amianto, anche per sopperire alle attuali carenze di strutture per lo smaltimento (discariche).

Nicola Pondrano, ex dipendente Eternit (entrato in azienda a 24 anni, nel 1974) e co-fondatore dell’Afeva (Associazione Familiari e Vittime Amianto), ha raccontata l’attività criminale portata avanti dalla multinazionale sul territorio casalese per 80 anni, dando lavoro a 8.000 persone, ma causando anche migliaia di morti.

Si tramandava il posto di lavoro di padre in figlio: era un “posto sicuro”! La paga era più alta del 30% rispetto ad altre aziende e c’erano molti benefit, come la colonia marina, le latte di olio d’oliva donate due volte all’anno, regali per Natale e la Befana, prestiti, anticipazioni salariali, premi ad personam, ecc. Un “abbraccio mortale” che per anni non ha permesso alle contraddizioni di esplodere. Anche però a causa dell’opera continua di disinformazione portata avanti dall’Eternit sulla pericolosità dell’amianto e la complicità di chi sapeva e taceva, compresa l’Oms – ha detto.

Nel 1970, la promulgazione dello Statuto dei Lavoratori fu un’occasione fondamentale per il sindacato per organizzarsi meglio, con le Commissioni Ambiente, e per iniziare a mettere in discussione l’organizzazione del lavoro e mettere al centro non più il salario, ma le condizioni di lavoro e di vita. Iniziarono scioperi organizzati e nacque tra lavoratori e lavoratrici la consapevolezza che all’Eternit ci si ammalava e si moriva. Un caso paradadigmatico fu quello di magazziniera morta nel 1977, a 44 anni, di mesotelioma pleurico. Da allora ci sono state 1.511 vittime accertate tra i dipendenti e oltre mille tra gli abitanti di Casale.

Nel 1979/1980 iniziarono centinaia di segnalazioni e denunce per denunciare la strage in fabbrica e nel territorio: centinaia di casi di morti per asbestosi, tumori polmonari e mesotelioma pleurico.

Il quotidiano L’Unità definì l’Eternit la “fabbrica della morte”. Diventata un caso internazionale, nel 1984 l’azienda presentò istanza di auto-fallimento, per poi chiudere definitivamente il 6 giugno 1986.

È stata una lotta portata avanti molto faticosamente nel territorio, come ha evidenziato Bruno Pesce, coordinatore dell’Afeva e del Comitato Vertenza Amianto. Le radici delle battaglie – ha raccontato – affondano nel sindacato, nello Statuto dei Lavoratori, nei Consigli di zona unitari, nelle Federazioni dei lavoratori metalmeccanici (FLM).

Nel 1979 si creò un gruppo dirigente nel sindacato che si batteva per le contrattazioni territoriali e che nel 1990 portò alla nascita del Comitato Vertenza Amianto, mettendo insieme le varie associazioni (in primis, Legambiente), Cigl, Cisl e Uil e i familiari delle vittime nel continuare le battaglie anche dopo la chiusura delle fabbrica, per avere: giustizia, bonifiche e ricerca sanitaria.

Nel 1993, al primo processo, ci furono condanne di pochi mesi per dirigenti locali; poi nel 2009 ci fu il processo a Torino – seguito anche da Sicurezza e Lavoro – che risvegliò l’attenzione mondiale sul tema amianto, che termino però con la prescrizione, sancita nel 2014 dalla Cassazione. Ora c’è il muovo processo “Eternit bis” per omicidio doloso plurimo aggravato in Corte d’Assise a Novara (che si celebrerà probabilmente nel prossimo novembre, coronavirus permettendo).

La Città di Casale e i suoi abitanti sono da sempre stati protagonisti in prima persona delle battaglie contro l’amianto, a differenza di altre realtà italiane che ospitarono stabilimenti Eternit, come ad esempio Broni (Pavia), dove, pur con una mortalità per mesotelioma superiore a Casale Monferrato, c’è stata meno attenzione al problema.

Anche nella ricerca di cure mediche e nell’assistenza ai malati, Casale è stata ed è all’avanguardia. Come ha affermato anche l’oncologa Daniela Degiovanni, che ha lavorato sino a tre anni fa all’ospedale di Casale Monferrato, dove un piccolo gruppo di quattro persone ha iniziato ad affrontare per prima un tumore raro e allora poco conosciuto (il mesotelioma pleurico), ma con un impatto altissimo per la salute di lavoratori, familiari e abitanti del territorio.

Furono gli operai visitati a fare capire a lei e alla comunità casalese cosa erano l’asbestosi, il mesotelioma e cosa significasse non avere più il respiro e non essere ascoltati da nessuno, essere abbandonati nella malattia.

Da allora, la ricerca ha fatto molti passi avanti, ma sinora nessuno è mai guarito dal mesotelioma…

Ancora oggi a Casale ci sono cinquanta morti all’anno: un numero esorbitante per una cittadina di 35mila abitanti. E molte sono le persone che temono di ammalarsi e che soffrono di disturbo post traumatico da stress. Da anni sono però attive équipe specializzate che si fanno carico anche delle famiglie degli ammalati e si stanno sperimentando avanzati protocolli di cura.

Non manca poi nella comunità casalese l’attenzione alla divulgazione e alla sensibilizzazione delle nuove generazioni sul tema amianto. Come ha evidenziato Assunta Prato, che si occupa della scuola per l’Afeva (ne fa parte dal 1996, quando suo marito morì di mesotelioma, pur non avendo mai lavorato all’Eternit), e ha tracciato un quadro sulle attività didattiche ed educative portate avanti nel corso degli anni. Pur con le difficoltà avute inizialmente (ma ancora adesso fuori da Casale) nel far capire che il problema amianto riguarda tutti.

Da 26 anni l’Afeva promuove il concorso “Cavalli” nelle scuole, che quest’anno purtroppo non si terrà per l’emergenza Covid19, e da 9 anni la rete Scuole Insieme, che 5 anni fa ha realizzato un’aula multimediale interattiva sull’amianto e ora affronta anche altri temi più ampi di sostenibilità ambientale, come quello delle plastiche.

Sono esperienze virtuose, che Sicurezza e Lavoro segue da tempo, per divulgare buone pratiche che possano ispirare altre comunità e altre realtà. Per trovare nuove (e vecchie) soluzioni ai problemi del lavoro e dell’ambiente e per diffondere quella cultura della salute, della sicurezza e della tutela dei diritti che ancora oggi troppe volte viene messa da parte in nome di interessi personali e del profitto a qualunque costo.

Massimiliano Quirico
direttore@sicurezzaelavoro.org

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