Eternit, spiragli di giustizia

Nell’ambito del cosiddetto processo “Eternit bis”, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, è stato condannato a 4 anni di carcere e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici dal giudice Cristiano Trevisan del Tribunale di Torino il 23 maggio 2019, per l’omicidio colposo di due persone legate allo stabilimento SacaEternit di via Cristoforo Colombo a Cavagnolo (Torino) da lui gestito: Giulio Testore e Rita Rondano, entrambe morte per mesotelioma pleurico, causato dall’inalazione di fibre di amianto.

Giulio Testore, padre di cinque figli, deceduto nel 2008 a 72 anni, aveva lavorato alla Saca per 27 anni: dal 7 maggio 1955 sino al 26 novembre 1982, giorno di chiusura dello stabilimento.

Rita Rondano, morta nel 2012 a 72 anni, è invece una vittima “ambientale”: era una cittadina di Cavagnolo che aveva la “sfortuna” di vivere in via Cristoforo Colombo, in una casa affacciata sui magazzini della fabbrica controllata dall’Eternit.

È una “condanna minima” – come affermano i rappresentanti di Afeva – ma lascia aperti spiragli di giustizia anche per gli altri filoni dell’Eternit bis, dopo che il processo è stato “spacchettato” in quattro città, in base alla competenza territoriale: oltre a Torino (due casi), a Vercelli (243 vittime legate allo stabilimento Eternit di Casale Monferrato), a Napoli (8 vittime dello stabilimento di Bagnoli), a Reggio Emilia (2 vittime per la fabbrica di Rubiera).

“Anche se la richiesta del pubblico ministero torinese Gianfranco Colace era di sette anni di reclusione – commenta Massimiliano Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro – la condanna a Schmidheiny è un segnale di speranza per le vittime, per le associazioni e per le istituzioni che lottano da decenni contro la multinazionale. Soprattutto, dopo la prescrizione del primo processo Eternit (sentenza Cassazione 19 novembre 2014), con centinaia e centinaia di vittime che non avranno mai giustizia. Ci auguriamo ora che i processi proseguano speditamente, in tutte le sedi e in tutti i gradi di giudizio, per ridare un minimo di dignità ai lavoratori e alle lavoratrici dell’amianto e alle vittime ambientali”.

“Si spera che questa sentenza – ha dichiarato il pm Gianfranco Colace – segni un ritorno a una giurisprudenza più attenta alle vittime”.

Loredana Polito

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