Sono trascorsi due anni dalla sentenza definitiva del processo ThyssenKrupp. Era il 13 maggio 2016 quando a Roma la Suprema Corte poneva la parola fine – dopo cinque gradi di giudizio! – all’odissea giudiziaria dei familiari dei miei sette compagni di lavori morti alle Acciaierie ThyssenKrupp di Torino il 6 dicembre 2007: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone e Roberto Scola.
Una vicenda seguita non solo dai parenti delle vittime e da Sicurezza e Lavoro, che erano in aula anche in quell’occasione, ma pure da tantissime persone – lavoratori, lavoratrici, rappresentanti di istituzioni, sindacati e associazioni, ecc. – che attendevano una condanna certa per chi non aveva rispettato il valore della vita umana: un severo monito per chi non vuole rispettare le norme su salute e sicurezza sul lavoro.
La giustizia quando vuole ti sorprende… nel bene e nel male. La condanna definitiva è infatti stata emessa, ma è stata fatta giustizia fino in fondo?
Non sta a me giudicare e – come ho detto più volte – l’unica giustizia sarebbe il ritorno in vita di chi ingiustamente è morto quella notte. Ma, è normale che, a distanza di due anni dal verdetto definitivo della Cassazione, i due manager tedeschi – l’amministratore delegato Harald Espenhahn e il dirigente Gerald Priegnitz, componente del CdA e del Comitato Esecutivo – condannati a una reclusione rispettivamente di 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi, siano ancora a piede libero in Germania e conducano una serena vita con i propri cari, come documentato anche dalla recente inchiesta televisiva del programma Le Iene, andata in onda su Italia1 il 6 maggio 2018?
Vedere uno dei responsabili della tragedia torinese, il manager Priegnitz fare tranquillamente jogging nei pressi della sua villa e insultare il giornalista italiano Alessandro Politi che – come tutti noi – si domanda come sia possibile che non vada ancora in carcere, è un’offesa intollerabile al ricordo di chi ha perso la vita quella notte, è un colpo al cuore per i familiari delle sette vittime, è un insulto all’Italia.
Ci sono stati cinque gradi di giudizio, non i canonici tre che tutti normalmente si aspetterebbero, ma cinque, attesi per otto lunghi anni! E ora, come in un assurdo gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza, con i dirigenti tedeschi condannati che conducono lo stessa vita di prima…
E le nostre speranze di giustizia – nell’immobilismo generale e in attesa che magari un nuovo Governo italiano intervenga con fermezza – sono affidate a una trasmissione televisiva, che – per fortuna – continuerà a occuparsi di questa scandalosa questione giudiziaria.
Voglio però credere ancora nella Giustizia, ci crederò fino alla fine. Non possono correre per sempre…
Antonio Boccuzzi
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