Il Covid non ferma il caporalato nei cantieri navali

In Italia non c’è solo la schiavitù nei campi, per la raccolta di pomodori, arance o mele, come testimonia il “processo Momo” in corso a Cuneo, ma anche nei cantieri navali, anche nei cantieri navali che realizzano imbarcazioni di lusso.

L’indagine della Guardia di Finanza di La Spezia, che ha portato il 10 novembre 2020 all’arresto di 8 persone e al sequestro di 900mila euro, sta infatti svelando inquietanti fenomeni di caporalato, che avrebbero coinvolto 150 migranti bengalesi, molti ospitati in centri di accoglienza, che lavoravano per la Gs Painting Srl, con sede legale ad Ancora e operativa in subappalto nei cantieri navali di Baglietto Spa e Sanlorenzo Spa a La Spezia e di Nuovi Cantieri Apuania Spa a Carrara.

I lavoratori sarebbero stati sfruttati con paghe bassissime (4 euro all’ora) e turni massacranti (anche 7 giorni su 7, per almeno 12 ore al giorno), tra minacce e violenze, e costretti a restituire parte dello stipendio e ad andare a lavorare nonostante avessero sintomi riconducibili al Covid-19.

Gli otto arrestati (7 bengalesi in carcere a La Spezia, 1 italiano ad Ancona) avrebbe costituito una vera e propria associazione a delinquere per lo sfruttamento dei lavoratori e avrebbero trasgredito ripetutamente le normative per il contenimento del contagio da Covid: uno dei bengalesi in carcere è risultato positivo al coronavirus; altri lavoratori con la febbre venivano minacciati per andare comunque in cantiere, come risulta dalle intercettazioni telefoniche (“Sono a casa sto tanto male, tanta febbre” si lamentava un operaio, a cui è stato risposto: “Malato? Intanto, vieni”).

Secondo le Fiamme Gialle si trattava di un sistema consolidato da tempo, che getta un’ombra preoccupante sulla cantieristica italiana di lusso, leader nel mondo.

Loredana Polito

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