Documentarista (e mamma) ai tempi del Coronavirus

Sono diventata mamma 10 mesi fa, a luglio 2019.

All’epoca lavoravo in una cooperativa dello spettacolo con altri professionisti e mi sono licenziata dopo il periodo di maternità obbligatoria, per accudire al meglio mio figlio, con l’intenzione di riprendere la mia occupazione – sono documentarista e montatrice cinematografica e televisiva da 20 anni – una volta fatto l’inserimento all’asilo nido. Ho richiesto l’indennità di disoccupazione (Naspi), ma non mi è stata ancora erogata per una serie di questioni burocratiche, e ora sono priva di reddito.

Anche mio marito lavora nello spettacolo, come “backliner” (tecnico degli strumenti musicali) per vari artisti, ed è spesso in tour in Italia e all’estero: l’ultimo si era concluso alla fine di gennaio di quest’anno.

A febbraio si era preso un mese di pausa: eravamo contenti di trascorrere finalmente un po’ di tempo insieme. La pausa si è però prolungata con l’emergenza Covid: sono saltati tutti i concerti e non si ha alcuna certezza su quando ci sarà la ripresa degli spettacoli dal vivo. Così come per il cinema e il teatro.

Quella della cultura è un’industria, che ha anche un grande indotto: da autisti, catering, tecnici, elettricisti, macchinisti, truccatori e sarte fino a direttori della fotografia, montatori, musicisti, attori, scenografi, studi di post-produzione, ecc. Ci sono tante persone che ci vivono, producono e pagano le tasse. Basti pensare che l’Enpals, l’ente previdenziale dello spettacolo, prima di essere accorpato all’Inps, era uno dei pochi in attivo.

Eleonora al lavoro per ricerche all’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (Aamod).

In Italia però, come è evidente anche in questa fase emergenziale, nella graduatoria dell’utilità delle persone, i lavoratori – e soprattutto le lavoratrici – dello spettacolo e della cultura sono agli ultimi posti. Noi invece siamo professionisti come gli altri, ci identifichiamo nel nostro mestiere e lo viviamo con passione. Ora sembriamo inutili: è svilente, è una visione miope della nostra realtà, sia dal punto di vista sociale che economico.

Certo non si muore se non si legge un libro, non si vede un film o si ascolta un concerto, ma l’uomo e la donna non sono animali nati solo per mangiare, riprodursi e morire: non hanno soltanto esigenze primarie! E sono stati gli “inutili” che hanno intrattenuto tutti gli altri in questi mesi di quarantena: non ci fossero stati radio, tv, film, canzoni e teatro da vedere e ascoltare da casa, sarebbe stata molto più dura.

Per documentare come ho vissuto in questo strano e difficile periodo, ho aderito al progetto “Tutte a casa – Donne, lavoro, relazioni ai tempi del Covid-19”, promosso da un gruppo di lavoratrici dello spettacolo riunite nel collettivo Tutte a casa, con Sicurezza e Lavoro e Job Film Days.

Anche durante l’epidemia, infatti, non ho perso la voglia di scandagliare la realtà tramite il cinema, per raccontare attraverso le immagini cosa sta succedendo a tutte quante, per narrare al femminile come viene affrontata l’emergenza Covid: una pandemia dominata dagli uomini, con virologi e task force tutte al maschile. Sono però tantissime le donne in prima linea, spesso con l’aggravio del lavoro di cura, mentre molte altre sono state licenziate, costrette a casa, magari con compagni o padri violenti.

Moltissime donne hanno reagito, hanno saputo re-inventarsi, si sono messe alla prova. Come fatto io, in casa, in uno spazio ristretto, con un piccolo terrazzo. La vita di coppia in quarantena non è facile: andiamo d’accordo in famiglia, ma si sente la mancanza del lavoro, delle sue gratificazioni. E non è facile mantenere l’equilibrio quando non hai entrate economiche e non sai quando potrai lavorare di nuovo.

Cerco di non perdermi d’animo e continuo il mio impegno nel direttivo dell’Amc, l’Associazione Montaggio Cinematografico e televisivo. Rappresentati dal nostro presidente Osvaldo Bargero e dal consigliere Stefano Chierchè, con la Federazione Italiana delle Associazioni Cineaudiovisive (Fidac), le altre associazioni del Cinema e le sigle sindacali, ci siamo dati da fare per provare ad accedere ai vari ammortizzatori sociali connessi all’emergenza Covid-19. Molti lavoratori e lavoratrici del settore sono però atipici, a tempo determinato, data la natura stessa del lavoro, legato ai tempi di realizzazione dei film. Ciò ha reso difficile l’accesso a queste indennità. È stato realizzato un questionario per capire quanti lavoratori e lavoratrici dello spettacolo avessero avuto accesso ai 600 euro o alla cassa integrazione in deroga: su 1.935 persone intervistate, quasi la metà non è riuscita ad averli!

Allo stesso tempo, stiamo cercando di capire come far ripartire i set cinematografici. Post produzione e montaggio stanno faticosamente riprendendo, con le dovute precauzioni, e alcuni miei colleghi e colleghe montatori stanno operando in smart working, per terminare i lavori in sospeso, ma se non riaprono i set come lavoreremo in futuro?

Il documentario “La bella Virginia al bagno” di Eleonora Marino riceve la menzione speciale al Festival Visioni Fuori Raccordo.

Da aprile a giugno avrei dovuto montare dei servizi televisivi per Superquark, ma le riprese, che dovevano essere effettuate soprattutto nel Nord Italia, si sono bloccate per l’emergenza sanitaria.

Sto contattando registi e produzioni con cui ho sempre collaborato, dando la mia disponibilità, ma per ora nessuno sa cosa succederà e le produzioni rimangono in stand by, così come anche i mercati dell’audiovisivo.

Probabilmente a settembre la situazione migliorerà, ma si va verso l’ignoto, sia nel mio campo, che in quello della musica dove opera mio marito.

In un Paese famoso al mondo per l’elevato livello della sua produzione artistica, nessuno prende in considerazione chi quell’arte contribuisce a crearla, realmente… Non so se torneremo presto alla normalità, ma mi auguro ci sia un impegno collettivo per dare voce alla cultura, all’industria della cultura. Ci dovremo tutti e tutte re-inventare o riprenderemo il lavoro che amiamo?

Eleonora Marino

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