I pizzini di Momo e l’ombra del caporalato nel cuneese

Dopo la drammatica testimonianza del bracciante Koanda Mounouni e quelle di altri lavoratori migranti, continua al Tribunale di Cuneo, davanti alla giudice Alice Di Maio, il processo Momo per presunti episodi di caporalato in agricoltura e allevamento, in cui sono parte civile Sicurezza e Lavoro (avv. Giacomo Mattalia) e Cgil e Flai Cuneo e alcuni lavoratori (avv. Valentina Sandroni).

Nell’udienza del 7 febbraio 2022, la pm Carla Longo ha ripercorso la genesi del processo, che vede come principale imputato un giovane migrante del Burkina Faso, Tassembedo Moumouni, detto “Momo”, accusato di reclutamento illegale di manodopera (“caporalato”, art. 603 bis c.p.), che veniva poi impiegata nelle ditte Gastaldi e Depetris e nella cooperativa Monviso per la raccolta di frutta e l’allevamento di polli.

Episodi ritenuto gravi dalla pm, che avrebbero visto lo sfruttamento di numerosi migranti nel cuneese. Infatti, il caporalato – come ha spiegato la pubblico ministero – è diffuso anche in territori economicamente “sani”, come quello cuneese e in aziende di eccellenza, del Nord come del Sud Italia.

I primi accessi alle ditte coinvolte risalgono al 27 settembre 2018. Seguono perquisizioni e sequestri, anche a casa di Tassembedo (sottoposto a misura cautelare), dove vengono rinvenuti numerosi contratti di lavoro, cud e domande di disoccupazione di migranti africani e vari “pizzini” che contengono nomi di lavoratori, giorni di lavoro e ore lavorate: sono le indicazioni che i migranti devono fornire in caso di controlli!

Momo – ha affermato la pm – era una sorta di “pronto soccorso” per le ditte coinvolte per reclutare facilmente e velocemente manodopera “sottomessa”, poi pagata “in nero” da Tassembedo, che avrebbe deciso anche gli importi e le modalità di pagamento e preteso somme di denaro anche dai lavoratori stessi.

Le buste paga della ditta Gastaldi erano formalmente impeccabili, ma in realtà le effettive giornate lavorative erano molte di più di quelle indicate, secondo l’accusa: emerge chiaramente, per la pm, un caporalato “grigio”.

Sono stati poi rinvenuti vari accordi transattivi con i quali i lavoratori migranti – in cambio di 50 euro – rinunciavano a ulteriori pretese riguardanti il proprio rapporto di lavoro, facendo eviterà ai datori successive cause di lavoro.

In molti casi, sarebbe anche stato violato il diritto al riposo giornaliero: i migranti di giorno raccoglievano la frutta, la sera e la notte i polli, da caricare su camion.

Facilitato dalle sue capacità linguistiche e approfittando dello stato di bisogno, la pm ha sostenuto che Momo poteva decidere chi veniva assunto e chi licenziato, chi poteva ottenere una residenza simulata presso casa sua (pagandogli circa 600 euro) e chi aveva “diritto” ad avere il cud (pagandogli 304 euro, cifra “curiosamente” identica ai costi di rilascio per l’azienda…), indispensabile per avere il permesso di soggiorno.

Per evitare tempi morti per gli spostamenti, i Gastaldi volevano che i lavoratori abitassero nella loro cascina, in condizioni precarie e pagando soldi per luce e gas, che venivano detratti in nero dalle paghe.

Per quanto riguarda le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, nove lavoratori sono stati trovati privi della sorveglianza sanitaria prevista dal D.Lgs. 81/2008. Sono stati poi riscontrati casi di assenza di dpi (dispositivi di protezione individuale) e guida di un mezzo agricolo senza patentino. E, secondo le testimonianze dei migranti, si doveva lavorare nei campi anche quando venivano irrorati antiparassitari.

Alla ditta di allevamento polli Depretis, lo Spresal ha contestato anche la mancata valutazione del rischio biologico e dei rischi di movimenti ripetitivi.

C’era poi sempre la velata minaccia di Momo di far perdere il lavoro, e quindi il titolo di permanenza in Italia: “La mia vita era nelle sue mani” – ha dichiarato in aula un lavoratore migrante che aveva chiesto a Momo di poter ottenere la residenza.

Con tutte queste motivazioni, la pm Carla Longo ha richiesto la condanna penale per tutti gli imputati: per Tassembedo Moumouni detto “Momo” 6 anni e 8 mesi di reclusione e 23mila euro di multa; per Diego Gastaldi e Marilena Bongiasca 5 anni di reclusione e 20mila euro di multa; per Graziano Gastaldi 3 anni e mesi 4 di reclusione e 12.800 euro di multa; per Andrea Depetris e Monica Coalova 5 anni di reclusione e 11mila euro di multa; per Agnese Peiretti 3 anni e 4 mesi di reclusione e 7.500 euro di multa.

Sono stati lesi diritti fondamentali delle persone, di persone estremamente vulnerabili, e le parti civili meritano un risarcimento per i danni subiti per violazioni così profonde – ha affermato l’avvocato Valentina Sandroni.

I lavoratori venivano emarginati, per favorire il loro isolamento e mantenerli in uno stato di bisogno, sottomessi, sempre sotto il ricatto di perdere il lavoro – ha spiegato l’avvocato Sandroni. E purtroppo non si tratta di casi singoli – ha aggiunto – ma di un sistema diffuso sul territorio.

I lavoratori non avevano possibilità di sottrarsi agli abusi – ha dichiarato l’avvocato di Sicurezza e Lavoro, Giacomo Mattalia – e sono stati vittime di sfruttamento e di gravi violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro. I dpi – ha precisato Mattalia – sono stati consegnati solo dopo le ispezioni dei Carabinieri e le scarpe antinfortunistiche sono state date come regalo di fine anno! Molti dormivano in una cascina, anche in materassi per terra, in cui non sempre il riscaldamento funzionava: i lavoratori avevano dovuto comprarsi delle stufette elettriche per affrontare il freddo…

“Le testimonianze e le intercettazioni del processo Momo – ha dichiarato Massimiliano Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro” – hanno fatto capire a tutti che anche nel settore agroalimentare di un territorio ricco e generalmente virtuoso come quello cuneese può esistere un articolato sistema di sfruttamento, svelato grazie alle denunce fatte alla Cgil e al lavoro svolto dal sindacato e da associazioni come Caritas e Sicurezza e Lavoro”.

“Ci auguriamo – ha concluso Quirico – che questo primo importante processo per caporalato porti a condanne che siano da esempio per chi sfrutta lavoratori e lavoratrici e per chi fa azienda in maniera criminale, falsando la concorrenza e danneggiando il tessuto economico e sociale del territorio cuneese, in cui stanno emergendo altri inquietanti episodi di caporalato”.

Le prossime udienze sono in programma lunedì 21 febbraio 2022 e lunedì 7 marzo 2022, data in cui potrebbe essere già pronunciata la sentenza.

Loredana Polito

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