Agromafie e caporalato, nessuna Regione italiana è indenne

Non è mai stata così alta la competizione tra le persone per la ricerca di un lavoro, con il rischio che si mettano sempre più spesso le une contro le altre. Le disuguaglianze sono esplose e il rapporto di lavoro rischia di tradursi esclusivamente in una trattativa a livello commerciale, in una compravendita, ovviamente al ribasso.

Con queste parole, Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha commentato i risultati del Quinto Rapporto su Agromafie e caporalato (ottobre 2018/ottobre 2020), curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto – Flai.

Il corposo documento (oltre 500 pagine) è stato presentato dal segretario generale Flai Cgil, Giovanni Mininni, il 16 ottobre 2020 al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, alla presenza di autorevoli rappresentanti di Governo e associazioni impegnate nel contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo. Per limitazioni dovute all’emergenza Covid, Sicurezza e Lavoro non è potuta intervenire nella capitale, ma ha seguito l’evento in diretta streaming.

Secondo il Rapporto, in Italia sono 180.000 i lavoratori e le lavoratrici particolarmente vulnerabili, e quindi, soggetti a fenomeni di sfruttamento e caporalato.

Il caporalato però – come è stato ribadito da Francesco Carchedi dell’Università La Sapienza di Roma – non riguarda soltanto l’intermediazione di manodopera, ma anche il rapporto di produzione illecito, spesso illegale.

Il documento si sofferma anche sullo stato di attuazione della Legge 199/2016 (“Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”) e sul Tavolo Caporalato, previsto dalla stessa legge. Vengono anche analizzati 260 procedimenti penali (163 riguardano l’agricoltura) che confermano la presenza del caporalato non solo nel Sud, ma anche nel Nord Italia, come dimostra il recente processo di Cuneo.

Lo sfruttamento lavorativo riguarda trasversalmente tutte le regioni e le province italiane. In ciascuna sono infatti compresenti: occupati regolari con contratto rispettato in tutte le sue parti, occupati con contratto ma con parti dello stesso non rispettati (riduzione delle giornate di lavoro, salario minore di quello che compare nel medesimo contratto, risposi/ferie dimezzati/inesistenti), occupati senza contratto con rapporti di lavoro sbilanciati/asimmetrici (dal punto di vista economico e dall’assenza degli strumenti/attrezzatura anti-infortunistica) in favore del datore di lavoro, occupati senza contratto fortemente sfruttati e non di rado esercitanti l’attività in condizione pressoché servile.

Ciò che caratterizza queste ultime tre categorie di lavoratori è spesso lo stato di bisogno e dunque l’alta esposizione/rischio di sfruttamento, dovuto alla ricattabilità qualora non si accettassero le condizioni dell’ingaggio occupazionale. E quasi sempre sono le tre categorie che risentono dell’intermediazione illegale di manodopera e accrescono pertanto, in ciascun distretto agro-alimentare, la sub componente di lavoratori che viene coinvolta con maggior facilità nelle occupazioni caratterizzate dalle pratiche di caporalato assoggettanti.

Tra le proposte per contrastare il caporalato avanzate durante la presentazione del Rapporto, c’è anche quella di Maurizio Landini per rilanciare il collocamento pubblico in agricoltura, ridando credibilità alle Istituzioni e rendendo effettivo il diritto al lavoro.

Servono inoltre azioni per applicare la legge sul caporalato in tutti i suoi aspetti, togliendo alibi e intervenendo anche dal punto di vista sociale e culturale, rimettendo al centro la dignità e la legalità del lavoro. Come ha spiegato anche la Ministra per le Politiche agricole, Teresa Bellanova.

Non basta però soltanto l’azione repressiva, pur fondamentale, per la produzione di buon cibo e per garantire il rispetto della dignità della persone e della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Utili al riguardo possono essere i contratti di filiera, che coinvolgono non solo la produzione, ma anche la trasformazione e la distribuzione dei prodotti. Occorre inoltre fornire più liquidità alle imprese agricole, lottare contro le agropiraterie (è allo studio un disegno di legge al riguardo) e contrastare le aste al doppio ribasso e le vendite sottocosto di prodotti freschi e deperibili. La lotta per la legalità, infatti, va fatta a tutto campo – ha affermato Bellanova – anche coinvolgendo i consumatori.

Serve però innanzitutto stimare esattamente il fabbisogno di manodopera agricola nel nostro Paese, per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e togliere il “servizio” di intermediazione di manodopera ai caporali, spesso molto “efficiente”: al riguardo il Ministero delle Politiche agricole ha stanziato 150mila euro per commissionare al Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) uno studio sulla manodopera richiesta e sul calendario del lavoro agricolo in Italia.

La battaglia contro il caporalato non riguarda però solo il lavoro agricolo e domestico, come previsto dalla recente normativa per l’emersione del lavoro irregolare, ma anche edilizia, ristorazione e logistica.

Come ha affermato il viceministro dell’Interno Matteo Mauri, bisogna evitare di mettere gli ultimi contro i penultimi: la civiltà di un Paese si misura anche dalla distanza tra i “primi” e gli “ultimi”.

Contro lo sfruttamento, contro l’isolamento e la ghettizzazione di lavoratori e lavoratrici, dobbiamo lavorare per costruire una cultura diversa del lavoro e dell’immigrazione.

Massimiliano Quirico
direttore Sicurezza e Lavoro

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