Agricoltura, lavoro nero e caporalato, per la prima volta si regolarizzano i migranti

Con l’articolo 110 bis (“Emersione di rapporti di lavoro”) del Decreto Rilancio, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 maggio 2020, per la prima volta in Italia si opera una regolarizzazione di lavoratori e lavoratrici migranti nel settore agricolo.

Non era scontato, date anche la difficile situazione legata alla Fase 2 dell’emergenza Covid e le divisioni politiche sul tema.

È difficile calcolare la platea delle persone interessate dal provvedimento, ma certamente diventeranno visibili migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti, che potranno essere regolarizzati, ottenendo un permesso di soggiorno temporaneo (validità: sei mesi) e un contratto di lavoro. È però sicuramente un modo per contrastare la nascita e lo sviluppo di fenomeni di caporalato, presenti sia al Sud che al Nord Italia, e per ridare dignità alle tantissime persone che lavorano nei nostri campi, nei nostri vivai e nelle nostre cantine, che potranno così permettersi anche un’abitazione dignitosa (riducendo così i tristi fenomeni di ghetti e tendopoli) e, ovviamente, pagare le tasse dovute.

Se nel termine della durata del permesso di soggiorno temporaneo, il cittadino o la cittadina esibirà un contratto di lavoro subordinato, ovvero la documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa, il permesso temporaneo verrà convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Sarà un vantaggio pure per i braccianti italiani, che non saranno più costretti ad accettare salari e condizioni vessatorie sotto il ricatto “tanto se non lo fai tu, troveremo uno straniero che lo fa lo stesso”.

La portata dell’intervento normativo è comunque più ampia, in quanto l’articolo 110 bis del Decreto Rilancio non si applica solo all’agricoltura, ma anche ad allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse, all’assistenza alla persona (per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza) e al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare. Un’ottima notizia, quindi, anche per la filiera della pesca e dell’allevamento e per badanti, colf e baby sitter “irregolari”. Esclusa l’edilizia.

Non sarà una norma risolutiva per sconfiggere definitivamente il caporalato, il lavoro nero e lo sfruttamento lavorativo, ma è sicuramente un’arma in più per tutti e tutte per fare valere i propri diritti sul lavoro.

È uno strumento che si aggiunge a quelli già disponibili per favorire la crescita del lavoro di qualità in agricoltura, come la Legge 199/2016 (“Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”), il Tavolo Caporalato presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – previsto dall’art. 25 quater della Legge 136/2018 – e il Piano triennale 2020-2022 approvato dal Tavolo Caporalato il 20 febbraio 2020.

Sarà ora necessario vigilare sull’applicazione effettiva delle norme e valutare le applicazioni concrete, auspicando che le procedure burocratiche siano rapide e agevoli, oltre a capire se ci saranno modifiche da apportare quando il Decreto Rilancio sarà convertito in legge.

Sarà fondamentale, come sempre, l’opera dei sindacati e dei patronati e delle tante associazioni impegnate nel contrasto al caporalato e allo sfruttamento, sia a livello nazionale che locale, come Terra, Caritas, Il Pulmino Verde e, naturalmente, Sicurezza e Lavoro.

Massimiliano Quirico
direttore@sicurezzaelavoro.org

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