A cinque anni dal crollo della Torre Piloti del Porto di Genova, che causò nove vittime, lo sviluppo del relativo percorso processuale si sta indirizzando in un modo che lascia qualche perplessità.
Il dibattimento – anche grazie alla fortissima e legittima pressione svolta soprattutto da una delle famiglie delle vittime – si sta dirigendo verso la definizione di adeguatezza della posizione fisica, logistica, della Torre Piloti: si vuole valutare se fosse – e quanto fosse – pericoloso averla costruita esattamente in quel punto del porto, se non fosse troppo esposta, in quanto eretta sul ciglio di una banchina, e se nessuno, al tempo, avesse immaginato di averla già potenzialmente condannata a essere colpita, progettandola esattamente lì.
Ciò appare legittimo, soprattutto se può servire ad ampliare la visione complessiva dell’evento e a non circoscriverla “soltanto” alla nave Jolly Nero della Linea Messina che abbatté l’edificio, ai presunti falsi documentali, alle manovre sbagliate, o a possibili omissioni e reati legati solo alla nave e al suo equipaggio.
Sarebbe però necessario osservare tutta la catena di eventi che ha portato alla tragedia del 7 maggio 2013, in un contesto comunque molto complesso, in cui operano diversi attori: la Capitaneria di porto, l’autorità portuale di Genova, la cooperativa dei piloti, la flotta dei Rimorchiatori Riuniti, la compagnia Messina, ecc.
Probabilmente la Torre Piloti è stata posizionata in un luogo inadatto, forse per una scelta di immagine. Ma il documento di valutazione dei rischi, il DVR ne ha tenuto conto? Era davvero così improbabile che si potesse verificare un evento del genere?
Nel porto di Genova, come in tanti altri porti, basta fare un giro sulle banchine per vedere massi di banchina sui moli e calate con evidenti segni di prue e poppe di navi che negli anni hanno lasciato il segno di un impatto.
Quante volte è successo… Con frettolose e temporanee riparazioni con colate di cemento nelle prue sfondate delle navi per farle navigare sino ai bacini, dove successivamente gli operai avrebbero riparato il risultato degli errori di manovra.
Ad esempio, la notte del 16 ottobre 2002, nel porto di Genova, la nave portacontainer Jolly Verde decise di fare manovra nello specchio d’acqua tra il Ponte Libia e il Ponte Canepa, sbagliò manovra e colpì una grande gru di banchina, alta 40 metri, abbattendola. Fortunatamente, quella notte su quel molo non c’erano attività in corso e non ci furono vittime: solo danni. Ricordo che la mattina successiva mi recai sul posto, al Libia: rammento ancora il gigantesco e surreale paesaggio di travi lunghe decine di metri ammucchiate l’una sull’altra e sui container in banchina.
Era successo in una zona del porto molto lontano dalla Torre Piloti, ma un analogo incidente era accaduto anche il 21 aprile 1999, quando la nave Domenico Ievoli, mercantile di quattordicimila tonnellate di stazza lorda di proprietà della Marnavi, “toccò” la palazzina a fianco della Torre Piloti. Un impatto lieve per fortuna, con danni limitati, quantificati in circa 15mila dollari.
Anche in questo caso, però, si trattava di una nave che si muoveva dentro al porto, assistita nelle manovre dai rimorchiatori, mentre in plancia comandante e pilota del porto seguivano i movimenti.
Cosa non aveva funzionato?
Secondo le ricostruzioni del quotidiano La Repubblica – fatte basandosi sulle relazioni dei periti chiamati a valutare l’episodio e a quantificare i danni – la nave chimichiera della flotta Marnavi, lunga 146 metri, sarebbe stata ferma al bacino di carenaggio numero 4 per lavori di riparazione. Alle 15.28 si sarebbe spostata dal bacino numero 4 per raggiungere un altro accosto delle riparazioni navali: l’Oarn esterno. Sul posto arrivarono poi due rimorchiatori, il “Portogallo” e il “Giappone”, uno di poppa e uno di prua, per assistere la manovra della nave che, per un problema al sistema di propulsione, non poteva usare il “bow thruster”, l’elica di prua, e non disponeva della piena potenza. La spinta dei rimorchiatori, secondo la relazione, sarebbe stata eccessiva, al punto che il comandante avrebbe chiesto al pilota di ordinare al rimorchiatore di ridurre la spinta, anche perché all’ormeggio al pontile Oarn c’era già un’altra nave: la Joran.
La velocità del cargo era però forse eccessiva per il tipo di manovra, così che la prua arrivò a toccare la palazzina dei piloti del Molo Giano. Un impatto lieve ,che riguardò soprattutto l’ala sud del prefabbricato, in particolare il secondo piano, all’altezza dell’ultima finestra. I danni alla palazzina riguardavano le finestre del secondo piano (stanza 5) e, in modo più marginale, la stanza 10 al terzo piano. Di entità ancor più lieve i danni alla nave. Nel complesso, appunto, circa 15mila dollari.
Ricordo di aver visto le foto dell’epoca e le crepe all’interno degli uffici e della stanze della palazzina, con la facciata a righe bianche e grigie.
Si è trattato di un “near miss”, ovvero di un “quasi incidente” o “mancato infortunio”: episodi che, di per sé, non producono danni a cose o persone, ma che avrebbero avuto il potenziale di creare un incidente.
Il legislatore non prevede la registrazione, l’analisi e il trattamento dei near miss come uno specifico obbligo di legge penalmente sanzionato. E non essendoci un obbligo specifico, quindi, non può essere comminata una sanzione per la sua mancata registrazione, né viene invalidato il DVR, poiché il legislatore ha lasciato al datore di lavoro la scelta dei criteri di redazione del documento di valutazione dei rischi (art. 28 comma 2, lett. a del D. Lgs. 81/2008) e l’unico obbligo in tal senso è che il documento sia completo, così come prescritto dalla stessa legge.
Il DVR relativo alla Torre Piloti all’epoca della tragedia pare non riporti traccia del near miss della Domenico Ievoli. Forse averne tenuto conto, al di là del rispetto degli obblighi giuridici, avrebbe potuto contribuire a salvare nove vite… Forse però il giudice ne terrà conto nel valutare le responsabilità di chi ha causato – o poteva evitare – il disastro del Molo Giano…