Dopo cinque anni di pensione, Gian Carlo Caselli non si rassegna a fare l’umarell, a guardare i cantieri come molti anziani, ma ha ancora molto da fare!
Lo ha detto ironicamente lui stesso, alla presentazione del suo libro “C’è del marcio nel piatto“,edizioni Piemme, [amazon_link asins=’8856664437′ template=’PriceLink’ store=’siclavoro-21′ marketplace=’IT’ link_id=’833e5b49-f81a-11e8-88d7-3320a6aecb5f’], organizzata nell’ambito delle Settimane della Sicurezza 2018.
Impegnato come presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulle agromafie ideato da Coldiretti, continua infatti a occuparsi di legalità: il suo mestiere per tutta la vita.
Intervistato dal formatore sulla sicurezza Pino Borello, Caselli ha spiegato che gli Italiani sono maestri nel cibo buono e sano, ma non basta: il cibo deve essere anche “giusto” e tutelare il consumatore e il produttore onesto.
Nonostante la crisi, il settore agroalimentare funziona bene in Italia, tira molto, ma ci sono alcune ombre, alcune opacità. È un fiore all’occhiello conosciuto in tutto il mondo, ma dove c’è da guadagnare arrivano sempre anche le mafie: le agromafie, in questo caso.
Purtroppo, in Italia la normativa è obsoleta e ci sono molte resistenze nel rinnovarla – ha affermato Caselli. Non c’è più il problema dell’oste che annacqua il vino, ma ci sono complesse sofisticazioni, non sempre sanzionabili: “La legislazione italiana del settore è una groviera – ha denunciato – in cui la mafia può entrare come vuole: vince l’impunità!”.
In Italia, il business delle mafie alimentari è di 22 miliardi all’anno (V rapporto Osservatorio Agromafie – Eurispes – 2017), in crescita del 10% ogni anno. A cui si aggiungono 60/100 miliardi di euro all’anno dell’italian sounding, ovvero di quei prodotti che si richiamano all’italianità, che possono sembrare made in Italy, ma non lo sono.
Le agromafie – ha continuato Caselli – si insinuano in ogni passaggio della filiera agroalimentare: dal campo allo scaffale, dalla tavola alla ristorazione. Controllano campi, acqua, trasformazione e trasporto su gomma dei prodotti, su cui sono egemoni e moltiplicano le intermediazioni, facendo aumentare i costi finali.
Le mafie sono inoltre presenti nei grandi mercati ortofrutticoli: Milano, Roma, Ragusa, Vittoria, ecc. E, anche se debellate, come a Milano nel 2015, ritornano!
E ci sono nella ristorazione, nella grande distribuzione e nella distribuzione al dettaglio, dove non si limitano al pizzo, ma comprano i negozi e si infiltrano nell’indotto: cassette di legno e sacchetti di plastica, spesso pericolosi, “fuorilegge”.
Colpiscono anche il settore “bio”, con falsi prodotti biologici. E colpiscono le eccellenze del made in Italy, con “vini” senza un goccio d’uva, con “formaggi” senza latte!
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Il quadro è cupo – ha chiarito l’ex magistrato – ma pretendendo informazioni corrette, informandoci, possiamo evitare danni alla salute e al mercato.
Serve un obbliogo generalizzato, valido in tutto Europa, di etichette “narranti” su tutti i prodotti agroalimentari, che indichino chiaramente provenienza, tracciabilità, ingredienti, qualità organolettiche e scadenze. Un utile argine anche al caporalato.
Massimiliano Quirico
direttore Sicurezza e Lavoro