Forze di Polizia, vite a rischio per pochi euro

Il sacrificio di Carlo Legrottaglie, un carabiniere di 59 anni, impegnato in un servizio di pattuglia radiomobile, ucciso da malviventi il 12 giugno 2025 a Francavilla Fontana (Brindisi), impone una riflessione seria e ineludibile sulle politiche di gestione del personale delle Forze dell’ordine in Italia.

A 59 anni è razionalmente inammissibile che un carabiniere o un poliziotto sia ancora in servizio su una volante.

Dopo quasi 40 anni di servizio e altrettanti di impegno sindacale, specialmente sul piano della salute e sicurezza sul lavoro, non ho intenzione di tacere e fingere che queste situazioni siano casi isolati oppure sfortunate fatalità. È tempo di dire la verità sulle ragioni profonde che costringono operatori di tale età a mansioni ad alto rischio.

La sicurezza di chi protegge cittadine e cittadini è messa a repentaglio non soltanto da un’applicazione lacunosa delle norme, ma da criticità sistemiche che gridano vendetta, svelando una verità scomoda e intollerabile.

Il servizio radiomobile è, per sua essenza, teatro di reazioni immediate, scontri improvvisi, pericoli concreti che richiedono un’integrità fisica e una prontezza psicofisica al massimo livello. Permettere che un operatore di quasi sessant’anni sia ancora in prima linea in mansioni così gravose non è un atto di fiducia nell’esperienza, bensì una colpevole negligenza che rasenta l’abbandono.

L’età, innegabilmente, incide sulla rapidità di riflessi, sulla resistenza fisica e sulla capacità di sostenere lunghi periodi di stress e vigilanza: ignorare ciò significa spingere al limite non solo l’individuo, ma l’efficacia stessa dell’intervento in situazioni critiche, compromettendo la sicurezza pubblica che invece si dovrebbe garantire.

Dobbiamo avere il coraggio di indicare le ragioni vere che stanno dietro queste scelte inaccettabili.

La prima è una grave, cronica carenza di organici delle Forze di Polizia: un numero insufficiente di uomini e donne non adeguato alle esigenze di sicurezza del nostro contesto sociale, sempre più complesso e dinamico. Questa carenza si traduce in un’organizzazione spesso precaria, in turni massacranti che erodono la salute psicofisica e nell’impossibilità di allocare il personale in base alle reali capacità e all’età. Ci sono caserme territoriali che hanno giusto l’organico per assicurare il servizio di piantone e ricezione denunce, e che invece – con doppi, se non tripli turni e straordinari infiniti – assicurano la copertura di quasi tutti i servizi, compreso il controllo del territorio sulle 24 ore. Il personale viene messo a ‘tappare’ un buco, senza riguardo alle possibili conseguenze.

La seconda ragione, forse più amara, è il tema delle retribuzioni, basse, troppo basse, insufficienti a garantire una dignità economica adeguata a chi serve lo Stato con dedizione, esponendosi a rischi elevati. Questa condizione, purtroppo, obbliga troppi operatori, specialmente nell’ultimo periodo di servizio, a un’estenuante ricerca del massimo possibile di indennità esterne e straordinari. Una corsa disperata che non è un capriccio o avidità, ma una necessità per poter incidere positivamente su una pensione futura altrimenti misera, oppure per fronteggiare le crescenti spese della vita. Questo sistema perverso spinge operatrici e operatori esperti e di età avanzata a rimanere ancora in prima linea, accettando rischi sproporzionati, pur di garantirsi un futuro appena accettabile.

La legge però è chiara, o almeno dovrebbe esserlo per chi ha il dovere di applicarla: il Decreto Legislativo 81/2008, il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, all’articolo 28, impone al datore di lavoro – l’Amministrazione dello Stato – una valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori. E, con un’enfasi che non ammette equivoci, la norma specifica che tale valutazione deve comprendere anche quelli connessi all’età. Non è una facoltà: è un obbligo inderogabile.

Ogni singolo operatore dovrebbe essere oggetto di una valutazione individuale approfondita, che tenga conto della sua età anagrafica, delle sue condizioni di salute attuali e pregresse e delle mansioni specifiche che è chiamato a svolgere in ogni singolo turno.

La medicina del lavoro, con i suoi giudizi di idoneità, dovrebbe essere una barriera invalicabile, non un mero orpello burocratico da aggirare.

Se un operatore non è più pienamente idoneo a un servizio ad alto rischio, l’Amministrazione ha il dovere – etico e legale – oltre che di buon senso di ricollocarlo immediatamente in mansioni compatibili, dove la sua preziosa esperienza possa continuare a essere un valore importante in ruoli formativi, di coordinamento o amministrativi, senza compromettere la sua incolumità e quella dei colleghi.

Siamo di fronte a una responsabilità che non può più essere elusa. Lasciare che personale prossimo alla pensione venga esposto a pericoli così manifesti non è solo una questione morale, ma una grave falla strutturale nel sistema: aumenta esponenzialmente il rischio per l’operatore, diminuisce drasticamente l’efficacia operativa in momenti cruciali e genera un costo sociale e umano inaccettabile. Non si può continuare a fingere che l’età non abbia un peso nelle mansioni più esposte.

Vignetta di Tiziano Riverso per Sicurezza e Lavoro

È tempo di pretendere Protocolli rigorosi e trasparenti per la gestione del personale anziano nei ruoli operativi, ma è anche e soprattutto ora di affrontare le radici del problema: ripristinare organici adeguati, migliorare radicalmente l’organizzazione delle Forze di Polizia e garantire retribuzioni dignitose che non costringano i nostri servitori dello Stato a mettere a rischio la propria vita per un pugno di euro in più sulla futura pensione.

E non si può tacere la complicità silente – a volte, l’inefficacia colpevole – di quelle rappresentanze dei lavoratori che non riescono a ottenere, spesso neppure a chiedere con la necessaria fermezza, il rispetto delle norme vigenti.

Le Forze di Polizia sono purtroppo spesso caratterizzate da dirigenza e vertici refrattari ad affrontare le tematiche di salute e sicurezza. Il ritornello, da contrastare con la massima energia, è sempre lo stesso: ‘Il rischio fa parte del mestiere’. Proviamo a ripeterlo alla famiglia del povero Legrottaglie…

Questi temi, purtroppo, vengono riproposti a ogni occasione luttuosa come quella di Francavilla Fontana, ma le vittime sono sempre di più, e gli appelli restano inascoltati, voci che si perdono nel vuoto dell’indifferenza istituzionale. Si corre appresso a un pugno di euro, a ticket, a indennità miserevoli per servizi estremamente gravosi, e talvolta, tragicamente, si perde la vita per questo. Questo sistema va smontato pezzo per pezzo, rivisto dalle fondamenta, aggredito con la forza di una volontà politica e sociale: va ristrutturato integralmente. Si deve ripartire dai valori irrinunciabili dell’esistenza umana, dalla dignità del lavoro, dal diritto inalienabile alla sicurezza e alla tutela della propria vita.

Il sacrificio di un carabiniere non deve essere un lutto sterile, ma la scintilla per una rivoluzione necessaria, che ponga fine a questa logica di sfruttamento e negligenza.

Alla luce di tutto ciò, il cordoglio delle Istituzioni e dei rappresentanti governativi sa quasi di beffa: è inaccettabile e indegno di un Paese che si definisce ‘civile’. Non bastano le parole di circostanza, i funerali di Stato, le lacrime televisive o le promesse vuote, quando i fatti denunciano una palese e protratta negligenza nella tutela di chi sacrifica la propria vita ogni giorno.

È un dovere ineludibile, prima ancora che un diritto, garantire la massima sicurezza a chi ci protegge. E pretendere verità, giustizia e un cambiamento radicale per chi non c’è più e per tutti coloro che continuano a operare in condizioni al limite del disumano.

Nicola Rossiello

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